
Il diritto alla pausa secondo la normativa italiana - www.economiafinanzaonline.it
Nel contesto lavorativo, la tutela della salute e del benessere del lavoratore passa anche attraverso le pause durante l’orario di lavoro.
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20249/2025, ribadisce con forza un principio fondamentale: la negazione o la sistematica violazione delle pause previste dall’articolo 8 del D.Lgs. 66/2003 può comportare un risarcimento per il danno da usura psicofisica del lavoratore, anche in assenza di una prova medica diretta.
La normativa italiana, in linea con le direttive europee, sancisce il diritto imprescindibile per qualsiasi lavoratore di usufruire di una pausa di almeno 10 minuti consecutivi qualora l’orario di lavoro giornaliero superi le sei ore continuative. Tale disposizione è contenuta nell’articolo 8 del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, che rappresenta il pilastro della regolamentazione in materia di pause lavorative.
Questa pausa non è un mero formalismo burocratico, ma un vero e proprio presidio a tutela della salute e della sicurezza sul posto di lavoro. La finalità è il recupero psicofisico del lavoratore, fondamentale per mantenere livelli di concentrazione adeguati e prevenire lo stress o l’affaticamento cronico.
La durata e le modalità di fruizione della pausa possono essere disciplinate dai contratti collettivi o dai regolamenti aziendali. In assenza di una regolamentazione specifica, resta comunque garantita la pausa minima di 10 minuti. Il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 8 del 2005, ha chiarito che il lavoratore è libero di utilizzare tale intervallo come preferisce: per consumare un pasto, prendere un caffè, recarsi in bagno o persino fumare una sigaretta, sempre nel rispetto delle norme aziendali e della legislazione vigente, come la normativa antifumo (L. n. 3/2003).
La sentenza della Cassazione e il riconoscimento del risarcimento per danno psicofisico
La recente ordinanza della Suprema Corte (n. 20249 del 2025) ha confermato che la mancata concessione sistematica della pausa può configurare un danno da usura psicofisica del lavoratore. Questo danno, secondo la Corte, può essere accertato anche in assenza di prova diretta, attraverso presunzioni fondate che tengano conto della gravità e della durata dell’inadempimento.
La vicenda in questione ha riguardato alcuni dipendenti dell’Azienda Regionale Emergenza Sanitaria (ARES) 118, che avevano denunciato come la negazione costante della pausa minima giornaliera avesse compromesso la loro salute psicofisica. Pur riconoscendo il diritto alla pausa minima di 10 minuti per i turni superiori a sei ore, il Tribunale di Velletri aveva respinto la richiesta di risarcimento per il danno psicofisico.
Gli operatori sanitari hanno quindi presentato appello, ottenendo un verdetto favorevole dalla Corte d’Appello di Roma (sentenza n. 1842/2023), che ha condannato l’azienda al risarcimento per il danno subito. La Cassazione ha poi confermato tale orientamento, precisando che la lesione non è automatica (“in re ipsa”), ma può essere riconosciuta dal giudice sulla base di una valutazione presuntiva dell’impatto della violazione.

Va sottolineato che la disciplina sulle pause è applicabile a gran parte dei lavoratori subordinati, ma esistono eccezioni. Sono infatti escluse dalla normativa standard categorie quali: telelavoratori, lavoratori a domicilio, dirigenti e personale con funzioni direttive, soggetti con poteri decisionali autonomi, lavoratori mobili e collaboratori familiari. Per queste figure, caratterizzate da un orario di lavoro meno rigido, le regole sulle pause seguono logiche differenti.
Inoltre, la sospensione temporanea dell’attività per fumare rientra tra le interruzioni consentite, purché vengano rispettate le norme interne sull’uso di aree fumatori e la normativa nazionale antifumo. In assenza di spazi interni dedicati, è obbligatorio recarsi all’esterno dell’edificio, garantendo tempi di spostamento ragionevoli.
La funzione nomofilattica e il ruolo della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, istituita nel 1923 e con sede nel Palazzo di Giustizia di Roma, rappresenta il massimo organo giudiziario italiano in materia di legittimità. Essa assicura l’uniforme interpretazione e applicazione delle norme giuridiche sul territorio nazionale, svolgendo una funzione nomofilattica fondamentale.
Le sue sentenze, in particolare quelle pronunciate dalle Sezioni Unite, rappresentano orientamenti giurisprudenziali vincolanti per i giudici di grado inferiore. La pronuncia sull’obbligo di concedere le pause e sulle conseguenze della loro negazione si inserisce in questo solco, contribuendo a definire principi di diritto che tutelano la salute dei lavoratori e rafforzano il rispetto delle norme sul lavoro.