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Obsolescenza programmata: perché gli oggetti sono destinati a smettere di funzionare

Obsolescenza programmata: la durata di un prodotto è pianificata, progettata e integrata dal produttore. Ecco perché.

Viviamo in una società, dove è presente una sovrabbondanza di beni di consumo. Ogni giorno, viene rilasciato un nuovo prodotto, i quali – di solito – forniscono solo un aggiornamento minimale della linea di prodotti che li ha preceduti. Per farli acquistare, seppur non apportino grandi migliorie, si attua la cosiddetta obsolescenza programmata: gli oggetti sono destinati a smettere di funzionare, ad un certo punto.

Obsolescenza programmata: in cosa consiste

L’obsolescenza programmata è una politica, nonché una strategia aziendale in cui c’è la pianificazione e la progettazione dell’obsolescenza di un prodotto da parte del suo produttore.

Esiste un’enorme produzione di beni con una durata limitata del prodotto, che può presentare design fragile, funzionalità non più supportate o una strategia di marketing che cerca di inquadrarli come fuori moda dopo il rilascio di una nuova versione. L’obiettivo è quello di spingere i consumatori ad acquistare nuovi prodotti che il produttore presenta come sostituti.

Accorciando il ciclo di sostituzione, i produttori possono sfruttare l’esigenza dei consumatori che intendono utilizzare prodotti funzionali. Ciò rende l’obsolescenza pianificata una pratica commerciale che aumenta il volume delle vendite a lungo termine delle aziende a scapito dei consumatori.  

Come politica, l’obsolescenza pianificata è in larga misura redditizia per le aziende. Con un oligopolio sul proprio mercato o settore, possono trarre vantaggio dalla fedeltà al marchio. Per questo motivo, l’obsolescenza programmata è una pratica comune nel ramo dell’industria delle telecomunicazioni e, in particolare, per la produzione di telefoni cellulari, come smartphone e altri dispositivi periferici. 

Obsolescenza programmata

Chi ha inventato il concetto

L’attuazione di questa pratica commerciale è stata diffusa dalla fine del XX secolo, sebbene alcuni esempi risalgano a molto prima.

Fondato nel 1925 a Ginevra, l’oligopolio cartello Phoebus, situato in Svizzera, controllava la produzione e la vendita di lampadine a incandescenza. Queste aziende decisero di standardizzare l’aspettativa di tale prodotto, diminuendo la loro capacità da 2.500 a 1.000 ore: decisione aziendale che coincide, nei fatti, con l’attuale definizione di obsolescenza programmata.

In che modo influisce sull’ambiente?

L’obsolescenza pianificata ha un impatto sull’ambiente, in quanto aumenta la quantità di rifiuti elettronici pro capite e totali prodotti in tutto il mondo, contribuendo a volumi di produzione più elevati. Aumenta la quantità di materie prime critiche impiegate con gravi conseguenze ambientali e sociali.

Durante l’intero ciclo di vita del prodotto, le apparecchiature elettriche ed elettroniche hanno numerosi impatti ambientali. In effetti, l’estrazione di diverse materie prime impiegate nell’industria è materiale e ad alta intensità energetica.

L’industria mineraria produce elevate quantità di emissioni di anidride carbonica, in quanto dipende, tra l’altro, dai combustibili fossili. Da un punto di vista ambientale, la durata del prodotto di un bene dovrebbe essere estesa il più possibile. In teoria, il raddoppio della durata di un prodotto può ridurre il suo impatto ambientale di circa la metà.

Daniela Caruso

Sono copywriter freelance e mi occupo di diverse tematiche. Sono laureata in Culture Digitali e della Comunicazione alla triennale e alla magistrale posseggo una laurea magistrale in Comunicazione Pubblica, sociale e Politica. Ho conseguito entrambi i titoli all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Parlo tre lingue: inglese, francese e tedesco. Ho come passioni la musica (canto) e il disegno manga.

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