
Aumento dell'Imu per le seconde case (www.economiafinanzaonline.it)
A meno di 30 giorni all’appuntamento con l’acconto dell’Imu anno 2025, le aspettative sono tutt’altro che rosee per i proprietari immobiliari.
In un contesto in cui molti Comuni hanno stabilizzato le aliquote Imu ai livelli massimi per la maggior parte degli immobili, la rendita catastale emerge come il fattore cruciale che determinerà l’ammontare della tassa da versare. La situazione si presenta complessa e presenta differenze significative a seconda della categoria catastale in cui gli immobili sono classificati.
Secondo un’analisi dettagliata condotta da Il Sole 24 Ore, possedere una seconda casa classificata nella categoria A/2 (abitazioni di tipo civile) può comportare un aumento medio del 63% dell’imposta rispetto a quelle inserite nella categoria A/3 (abitazioni di tipo economico). Questo divario impositivo è particolarmente rilevante nelle 30 principali città italiane, dove le delibere municipali relative all’Imu 2024 fungeranno da base per il calcolo dell’acconto che scadrà il 16 giugno 2025.
Un altro aspetto da considerare è che, in molte città, la distribuzione delle unità abitative tra le categorie A/2 e A/3 è sostanzialmente equilibrata, con ognuna che rappresenta circa il 40% del totale. Tuttavia, esaminando più da vicino, emerge come gli immobili classificati A/2 dovrebbero, in teoria, presentare caratteristiche costruttive e di finitura superiori a quelli A/3. Tale distinzione è giustificata da una rendita catastale più elevata e, di conseguenza, un’Imu più onerosa. La realtà, però, è ben diversa: il catasto italiano spesso non rispecchia le reali condizioni degli edifici, generando una vera e propria “lotteria” fiscale.
Ristrutturazioni e aggiornamenti catastali
Chi possiede immobili che hanno subito significativi interventi di ristrutturazione potrebbe aver aggiornato la rendita catastale. Tuttavia, la mancanza di adeguamenti per molte proprietà è un fenomeno su cui l’Agenzia delle Entrate sta intensificando i controlli. Nonostante alcuni interventi di riqualificazione urbana, l’impatto sui numeri complessivi del catasto è ancora limitato. Prendiamo ad esempio Milano: il passaggio da un’abitazione A/3 a una A/2 comporta un raddoppio dell’Imu. Per una seconda casa vuota tassata con un’aliquota dell’11,4 per mille, l’imposta annuale sale da 1.221 a 2.628 euro, con l’acconto di giugno fissato al 50% di questa cifra. A Napoli, il divario è altrettanto significativo, con un incremento da 898 a 1.641 euro. Anche a Firenze, sebbene il divario sia meno marcato, si passa da 1.270 a 1.598 euro.

Un ulteriore elemento da considerare è la differenza nelle aliquote Imu decise dai Comuni in base alla destinazione d’uso dell’immobile. A livello nazionale, le seconde case, siano esse affittate a canone libero o tenute a disposizione, ricevono spesso lo stesso trattamento fiscale. In ben 25 delle 30 città analizzate, gli appartamenti locati con contratti di mercato ordinari sono tassati con le stesse aliquote degli immobili sfitti. Solo alcune città come Aosta, Cagliari, Milano, Modena e Ravenna si discostano, ma gli sgravi concessi non superano mai l’1 per mille. Un esempio pratico è quello di Cagliari, dove un alloggio locato con un contratto “4+4” vede l’Imu annua ridursi da 1.864 a 1.688 euro (se in A/2) o da 799 a 724 euro (se in A/3), con la possibilità di ulteriori sgravi per l’uso di fonti rinnovabili.
Le politiche fiscali riguardanti l’Imu sono ulteriormente complicate dal fatto che, in molti comuni, gli affitti a canone concordato beneficiano di sconti significativi, con aliquote che possono essere inferiori di almeno 4 punti percentuali rispetto a quelle applicate agli immobili sfitti. Bari, Cagliari, Milano, Torino e Verona sono tra le città che offrono le riduzioni più significative, con Bari che applica un’aliquota di 4 per mille anziché 10,6. Anche nei comuni che non hanno deliberato aliquote ridotte, gli affitti a canone concordato possono godere di uno sconto del 25% sulla base imponibile.

Un aspetto che non può essere trascurato è la diffusione della categoria A/4 (abitazioni di tipo popolare), che di solito comporta un prelievo Imu ancora più contenuto. Questi immobili, in genere più vecchi e situati nei centri storici, presentano caratteristiche costruttive più semplici e dimensioni inferiori. Sebbene il loro numero stia diminuendo a causa di interventi di riqualificazione, rappresentano comunque una quota significativa del patrimonio abitativo. Per i proprietari di immobili A/4, l’Imu annuale può essere fino a un quarto di quella dovuta per le A/2. Questa disparità fiscale solleva interrogativi sulla coerenza del sistema catastale italiano e sulla necessità di una revisione che possa riflettere più accuratamente il valore di mercato degli immobili.