
Normativa sulla formazione dei lavoratori(www.economiafinanzaonline.it)
Nell’era della digitalizzazione le aziende si trovano a richiedere ai propri dipendenti di aggiornare le loro conoscenze e abilità.
Questo non è solo un trend del mercato del lavoro, ma una necessità imposta da normative e standard di sicurezza. Tuttavia, la questione si complica quando i corsi di formazione sono programmati al di fuori dell’orario di lavoro. È lecito per un datore di lavoro chiedere ai propri dipendenti di partecipare a corsi di formazione nel loro tempo libero? La risposta non è così semplice e coinvolge vari aspetti legali e pratici.
In Italia, la regolamentazione della formazione obbligatoria è disciplinata principalmente da due normative. La prima è il decreto legislativo 81/2008, noto come Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro, che all’articolo 37 stabilisce che la formazione in materia di salute e sicurezza deve essere effettuata durante l’orario di lavoro. Questo articolo è chiaro nel vietare qualsiasi costo a carico del lavoratore, affermando che il tempo trascorso in aula, sia essa fisica che virtuale, per adempiere agli obblighi di sicurezza è considerato parte integrante della prestazione lavorativa e, pertanto, deve essere retribuito.
La seconda norma rilevante è il decreto legislativo 104/2022, conosciuto come Decreto Trasparenza, il quale amplia il concetto di formazione obbligatoria includendo tutti i corsi richiesti dalla legge o dai contratti collettivi. L’articolo 11 di questa legge ribadisce che la formazione deve essere gratuita per il lavoratore e, se possibile, organizzata durante l’orario di lavoro. Tuttavia, il legislatore ha previsto delle eccezioni per situazioni particolari, come la disponibilità dei formatori solo in determinati orari o la necessità di non interrompere i servizi al pubblico.
La legittimità della formazione fuori orario
La Corte di Cassazione ha chiarito che il concetto di “orario di lavoro” non si limita alle ore ordinarie di lavoro, ma include qualsiasi fascia temporale in cui il datore di lavoro può richiedere al dipendente di svolgere attività lavorativa. Questo significa che anche la formazione programmata al di fuori dell’orario consueto, ad esempio la sera o nei weekend, è considerata attività lavorativa e deve essere retribuita.
Se le ore di formazione superano l’orario contrattuale stabilito (tipicamente 40 ore settimanali), il datore di lavoro è tenuto a pagare le ore in eccesso come straordinario, applicando le maggiorazioni previste dal contratto collettivo di riferimento. È quindi fondamentale che i lavoratori siano informati e consapevoli del calcolo della loro retribuzione, che deve comprendere sia le ore lavorate che quelle dedicate alla formazione.
I lavoratori hanno il diritto di rifiutare di partecipare a corsi di formazione programmati al di fuori dell’orario lavorativo, ma questo diritto è limitato a specifiche circostanze. Se la formazione è obbligatoria per legge o per esigenze di sicurezza, non è possibile opporre un rifiuto immotivato. È essenziale che il datore di lavoro garantisca che tutti i diritti dei lavoratori siano rispettati, inclusi la retribuzione adeguata e l’assenza di costi a carico del lavoratore.
In situazioni in cui il datore di lavoro non rispetta tali condizioni, il dipendente ha il diritto di far valere le proprie ragioni, sia per vie legali che attraverso le rappresentanze sindacali. Questo aspetto diventa cruciale in un contesto lavorativo sempre più attento ai diritti e alle esigenze dei lavoratori.

Un principio cardine della normativa italiana è che i costi della formazione obbligatoria non possono mai gravare sul lavoratore. Questo include non solo il costo del corso, ma anche eventuali materiali didattici, spese di trasporto e trasferte necessarie per la partecipazione. È fondamentale che le aziende comprendano l’importanza di investire nella formazione dei propri dipendenti non solo per ottemperare agli obblighi normativi, ma anche per migliorare la sicurezza e l’efficienza all’interno dei luoghi di lavoro.
La mancanza di una formazione adeguata può comportare gravi conseguenze per le aziende. Se un lavoratore dovesse subire un infortunio a causa della mancanza di preparazione e formazione adeguata, la responsabilità penale e civile ricadrebbe sul datore di lavoro. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15697/2025, ha sottolineato che il mancato adempimento degli obblighi formativi può essere considerato una causa diretta di danno, specialmente se il lavoratore non era stato informato sui rischi e sulle misure di prevenzione da adottare. In questi casi, le aziende possono affrontare non solo sanzioni pecuniarie, ma anche condanne per lesioni colpose.
Il panorama lavorativo attuale richiede alle aziende di essere proattive nella pianificazione e nell’organizzazione della formazione, garantendo che i propri dipendenti siano sempre aggiornati e preparati ad affrontare le sfide quotidiane. Investire nella formazione non è solo un obbligo legale, ma rappresenta anche un’opportunità per migliorare il clima aziendale, aumentare la produttività e ridurre i rischi di incidenti sul lavoro.