
Dettagli della proposta (www.economiafinanzaonline.it)
Nel maggio 2025, la Lega ha presentato una proposta di legge ambiziosa, volta a modificare la fiscalità del lavoro giovanile in Italia.
Questa iniziativa si propone di affrontare uno dei problemi più gravi del mercato del lavoro italiano: la disoccupazione giovanile e la crescente emigrazione di talenti all’estero. Le misure principali del progetto includono una flat tax fissata al 5% sugli stipendi per i giovani sotto i 30 anni e un esonero totale dai contributi previdenziali per i primi tre anni di lavoro.
La proposta si rivolge specificamente ai giovani di età inferiore ai 30 anni, assunti con contratti di lavoro subordinato, sia a tempo determinato che indeterminato. Per beneficiare di questo regime fiscale agevolato, i lavoratori devono percepire un reddito annuo lordo non superiore a 40.000 euro. Sotto queste condizioni, l’imposta sostitutiva dell’IRPEF, insieme alle addizionali regionali e comunali, sarà fissata al 5%. Questa misura fiscale è pensata per durare un massimo di cinque anni, terminati i quali i lavoratori torneranno al regime fiscale standard.
Questa proposta trae ispirazione dal regime forfettario già in vigore per i titolari di partita IVA, che prevede un’aliquota ridotta per i primi cinque anni di attività. L’idea è quella di trasferire un modello di successo dal mondo delle partite IVA al settore del lavoro dipendente, cercando di stimolare l’occupazione giovanile.
In aggiunta alla flat tax, la proposta introduce l’esonero totale dai contributi previdenziali per i primi tre anni di contratto. Questo significa che né il lavoratore né il datore di lavoro saranno tenuti a versare i contributi all’INPS durante questo periodo, generando un notevole risparmio per le aziende e una retribuzione netta più alta per i giovani.
Vantaggi per i giovani
I benefici per i giovani lavoratori sono molteplici. La possibilità di percepire una busta paga significativamente più alta rispetto al sistema fiscale ordinario rappresenta un incentivo importante. La combinazione della riduzione dell’aliquota fiscale e dell’assenza di contributi da versare potrebbe portare a un incremento sostanziale del reddito disponibile, rendendo il lavoro regolare molto più attraente rispetto a forme contrattuali flessibili o irregolari.
Un ulteriore vantaggio è rappresentato dal fatto che il tetto di reddito per i lavoratori residenti in Italia è fissato a 40.000 euro, mentre per i cittadini italiani residenti all’estero il limite sarà elevato a 100.000 euro. Questa clausola è stata introdotta per incentivare il rientro dei “cervelli” italiani, offrendo loro la possibilità di beneficiare della flat tax anche su stipendi più elevati, attirandoli nuovamente nel mercato del lavoro italiano.

Le aziende sono destinate a trarre vantaggio da questa riforma, in particolare grazie alla riduzione del costo del lavoro. L’assenza dei contributi previdenziali per tre anni rappresenta un risparmio diretto per le imprese che, attualmente, possono spendere oltre il 30% del lordo del dipendente solo in oneri contributivi. Con un budget invariato, le aziende potrebbero assumere un numero maggiore di giovani, migliorando così le loro capacità produttive e il turnover del personale.
Dubbi e interrogativi
Nonostante le potenziali opportunità, la proposta ha suscitato numerosi dubbi e interrogativi. Uno dei principali punti critici riguarda la sostenibilità finanziaria della riforma. La riduzione delle entrate fiscali e dei contributi previdenziali potrebbe mettere a rischio i conti pubblici e il sistema previdenziale, sollevando la necessità di trovare coperture adeguate e meccanismi di compensazione.
Inoltre, c’è il rischio di creare disparità di trattamento tra lavoratori giovani e meno giovani, poiché i vantaggi della riforma non si applicano a tutti i dipendenti che svolgono mansioni simili. Questa situazione potrebbe generare tensioni nel mercato del lavoro, creando un clima di ingiustizia percepita.
Un’altra preoccupazione è l’effettiva efficacia della misura nel generare nuovi posti di lavoro. Se non accompagnata da politiche industriali più ampie, investimenti in formazione e un sostegno all’innovazione, la flat tax potrebbe non bastare a stimolare un reale aumento dell’occupazione giovanile.