
Pensione, se sei nato in quest'anno con le nuove regole perdi tutto - Economiafinanzaonline.it
Se sei nato in questi anno puoi dire addio al tuo assegno con le nuove regole: brutte notizie per questi pensionati.
Le prospettive previdenziali per chi è nato tra gli anni ’80 e ’90, attualmente compreso tra i 33 e i 43 anni, si fanno sempre più cupe e preoccupanti. Questo gruppo generazionale si trova a fronteggiare un futuro pensionistico incerto, con l’accesso alla pensione fissato, secondo le attuali normative, a oltre 70 anni. Questa situazione potrebbe rimanere invariata se non ci saranno riforme significative che possano modificare l’attuale sistema previdenziale.
L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha recentemente messo in evidenza come in Italia l’età effettiva di pensionamento potrebbe superare i 70 anni, con una previsione di uscita dal mondo del lavoro addirittura a 71 anni.
Questo dato posiziona l’Italia tra i paesi con le età di pensionamento più elevate in Europa, subito dopo la Danimarca. Un allarme su questa situazione era già stato lanciato dall’INPS dieci anni fa, il quale indicava che le persone nate negli anni ’80 rischiano di dover attendere addirittura fino a 75 anni per andare in pensione, con assegni previdenziali notevolmente più bassi rispetto alle generazioni precedenti. Un rapporto commissionato dall’ente previdenziale ha messo in luce che i lavoratori di oggi potrebbero percepire una pensione inferiore del 25% rispetto a quelli nati nel 1945, a causa di fattori come una durata media di percezione dell’assegno più breve.
Pensioni, se sei nato in questo anno dici addio all’assegno
La situazione attuale è il frutto di un lungo processo di riforme pensionistiche avviato tra il 1996 e il 2011, con interventi significativi come la riforma Dini e la riforma Fornero. Questi cambiamenti hanno radicalmente trasformato il sistema previdenziale italiano, passando da un metodo retributivo, che garantiva pensioni più alte in base agli ultimi stipendi percepiti, a un metodo contributivo, che si basa esclusivamente sui contributi versati durante la carriera lavorativa. Questa transizione ha avuto un impatto diretto non solo sull’età di accesso alla pensione, ma anche sull’importo dell’assegno stesso.
Oggi, con il sistema contributivo, le pensioni sono calcolate in base ai contributi effettivamente versati, penalizzando in particolare coloro che hanno avuto carriere lavorative discontinue o stipendi più bassi. Il mercato del lavoro attuale, caratterizzato da contratti precari, partite IVA fittizie e collaborazioni occasionali, non offre la stabilità necessaria per garantire un adeguato versamento previdenziale. In questo contesto, molti giovani iniziano a lavorare stabilmente solo tra i 27 e i 30 anni, dopo aver trascorso anni in formazione o in stage non retribuiti. Secondo un rapporto dell’OCSE, le lavoratrici che affrontano dieci anni di interruzione nella carriera percepiranno una pensione del 27% più bassa rispetto a quelle che lavorano a tempo pieno.
La situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che il reddito medio netto degli under 35 si attesta intorno ai 1.300 euro al mese, con valori che scendono ulteriormente nel Sud Italia, rendendo così i versamenti contributivi insufficienti. Le simulazioni effettuate dall’INPS mostrano che per i lavoratori nati dopo il 1996, il tasso di sostituzione – ovvero il rapporto tra l’ultima retribuzione percepita e la prima pensione – potrebbe scendere al 50%. Questo tasso era, in passato, tra il 70% e l’80%, ma solo a condizione di lavorare per almeno 40 anni senza interruzioni. Un obiettivo difficile da raggiungere, considerando l’attuale precarietà del mercato del lavoro.

Gabriele Fava, presidente dell’INPS, ha sottolineato la necessità di una “riforma strutturale che guardi ai giovani”, ma le proposte concrete tardano a manifestarsi. Nel frattempo, le forme di previdenza integrativa restano poco diffuse tra i giovani, spesso per mancanza di risorse economiche e di consapevolezza riguardo alla loro importanza. Informarsi sulle proprie prospettive pensionistiche, simulare la propria pensione attraverso strumenti online messi a disposizione dall’INPS e considerare la previdenza integrativa sono passi che dovrebbero essere intrapresi, ma è necessaria anche una risposta politica che riconosca la discontinuità lavorativa come una realtà strutturale.
Senza un cambiamento di rotta, il rischio è che una larga parte della popolazione arrivi alla vecchiaia senza una rete di protezione adeguata, trasformando la pensione da un diritto in un privilegio riservato a pochi. L’assegno previdenziale, dunque, rischia di non rappresentare più una garanzia di sicurezza economica per la vecchiaia, ma un obiettivo sempre più distante e incerto per le nuove generazioni. La sfida è quella di costruire un sistema previdenziale equo e sostenibile, capace di rispondere alle esigenze di una popolazione che, per sua natura, cambia e si evolve nel tempo.